L’UOMO
NEL SUO ABITO
opera
di Umberto Siboni
testo di Michele Amadò
Gli
uomini a differenza dagli animali nascono nudi e perciò devono essere coperti,
devono vestirsi. L’abito è una protezione, è un segno del bisogno dell’uomo.
Ma non tutti gli uomini si vestono nello stesso modo. Hanno abiti, abitudini e
costumi diversi, altre etiche (parola che deriva da abito-abitudine). Umberto
Siboni in questa sua opera effettuata con eccelsa abilità e raffinato sguardo
storico, mostra l’intima connessione tra l’abito e l’identità. Non si
tratta di una sfilata di moda. L’abito è il modo storico e incarnato degli
uomini d’orientarsi nell’esistenza, qualcosa di intimo che appartiene ad
ogni singolo. Colpisce la fierezza dei volti di epoche remote, come quelli delle
regine egizie: queste donne e questi uomini stanno bene nel loro abito,
appartengono visibilmente alla loro storia.
Gli abiti sono tutti diversi perché la concretezza dell’esistenza di ogni
uomo è unica.
Le figure di Siboni esprimono con l’abito la necessità degli
uomini di rispondere ad un bisogno profondo di protezione. Ogni uomo è una
domanda di bene, di stare bene, di felicità. I costumi sono modi di orientarsi
verso un bene, il bene per l’uomo.
I diversi abiti (etiche) esprimono questa domanda che si mantiene viva nelle
situazioni più diverse. Una domanda rimane tale finché non vi sia una risposta
esauriente. La compiuta unità delle figure presentate da Siboni segnala l’autenticità
della domanda, incarnata e non astratta. Nello stesso tempo, avendo davanti
immagini così diverse (si passa dall'Egitto, alla Grecia, a Bisanzio, all’Italia,
alla Germania, alla Francia e all’Inghilterra lungo quattro millenni), percepiamo
anche l’inquietudine dell’uomo che non trova una risposta esaustiva, dunque
un’etica (un modo di vivere) che soddisfi completamente il suo bisogno di
bene. Irrequietezza che lo spinge a cambiare quegli abiti nel tempo, il tempo
che li consuma.
Di fronte a questo incontentabile bisogno di cercare altri abiti
può sorgere in noi uno stupore perché in tutti i suoi modi di essere l’uomo
guarda verso un bene che nessun abito sembra in grado di catturare e serbare
definitivamente.
Il fatto che gli sguardi così ben caratterizzati
siano rivolti verso questo fine, verso questo obiettivo comune, più che
spingerci ad indagare le diverse psicologie ci fa interrogare sul senso dell’insieme.
Il senso di questa opera di Siboni appare solo nel suo insieme.
Gli abiti e i volti sono
tutti diversi eppure le figure ripetono una questione (una domanda) che era
presente dall’inizio della storia dell’uomo. In un certo senso gli abiti (le
etiche) non possono fare a meno degli altri abiti. Ognuno è rappresentato
secondo ciò che gli è più proprio, in quell’abito, cioè in quello spazio e
in quella storia, in quel modo di abitare e di vivere. Ma nessuno sembra poter
fare a meno delle altre storie per prendere rilievo. Si scoprono così i limiti
e le ricchezze di ciascuno, e nell’insieme si manifesta a noi quell’irrequietezza
che dicevamo: nessuno è autosufficiente, né esaurisce quella domanda che è
comune a tutti, per questo forse ci sono i ritorni delle mode, degli abiti,
delle etiche nella continua ricerca di un “di più”.
Il periodo dal Liberty sino al 1975 ci fa viaggiare attraverso il nostro secolo
e riporta la stessa domanda presente nelle figure precedenti, questione che
coinvolge anche noi che guardiamo, nel nostro tempo. La presenza di immagini
così diverse dall’antichità alla modernità, ci aiuta a far scorrere lo
sguardo avanti e indietro lungo la storia. Da una parte sorge il desiderio di
fermarsi sulle raffinate figure, sulla terra modellata con così abile mano,
dall’altra la visione d’insieme ci invoglia a ripetere il percorso senza
arrestarci sui particolari. La domanda di protezione e orientamento che gli
abiti e le etiche rappresentano, è anche nostra. Tutte le figure sono di fronte
a noi, faccia a faccia, vis-à-vis: nel loro insieme ci interpellano. Noi siamo
abituati a noi stessi, ai nostri abiti, e troppo spesso dimentichiamo che il
nostro presente non è tutto. Dimentichiamo il nostro passato e il nostro
avvenire. Non ci rendiamo conto che tra non molto i nostri modi di essere e
vestire e pensare, che ci sembrano i più “giusti”, parranno forse ridicoli
ad altri. Tralasciamo la storia.
L’opera di Siboni ci offre la possibilità di
gettare uno sguardo, attraverso la pazienza della mano che modella, su noi
stessi, uomini che appartengono ad una storia che li precede e supera, storia
incompiuta di bisogni e domande sempre aperte.
Michele Amadò.